La Pubblica Amministrazione vista dal Pubblico Impiego

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giovedì 13 ottobre 2011

Tagli della spesa pubblica e legge Pinto

Una proposta concreta
L'Italia è stata ripetutamente condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, a causa della irragionevole durata dei processi nel nostro Paese.
Apparentemente, la cosiddetta "Legge Pinto" (dal nome del senatore primo firmatario della proposta), avrebbe posto un rimedio a questa situazione, riconoscendo il diritto del cittadino ad essere risarcito per il danno provocato dall'eccessiva durata dei processi ed attribuendone al giudice la quantificazione.
Abbiamo detto, però, "apparentemente", e vediamo di spiegare il perché.

E' opportuno chiarire, innanzi tutto, che non abbiamo intenzione di contestare il diritto dei cittadini ad essere risarciti per i danni prodotti da processi ingiustificatamente protratti nel tempo, né tantomeno mettere in discussione i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.
Ci chiediamo, però, se la soluzione adottata dal nostro legislatore sia effettivamente quella più razionale o, per meglio dire, la più efficace ed efficiente (tanto per usare due termini tanto cari agli odierni riformatori della Pubblica Amministrazione).


Nella situazione attuale, infatti, per ottenere il risarcimento del danno causato da un processo durato troppo a lungo, si deve passare attraverso un nuovo processo che grava, per di più, su un giudice collegiale (vale a dire, non su un giudice di primo grado), appesantendone enormemente il carico di lavoro, distraendolo dalla sua principale attività istituzionale e svilendone il ruolo con l'assegnargli un contenzioso di tipo seriale.

Il calcolo e l'effettiva liquidazione dei risarcimenti sono affidati alla Pubblica Amministrazione, che può procedere alla evasione delle richieste, però, soltanto saltuariamente, se, quando e nei limiti in cui vengono davvero stanziati dei fondi a questo scopo. Siccome gli stanziamenti - di fatto – sono sempre irrisori rispetto a quanto serve per evadere tutte le pratiche pendenti, il risultato è che si accumula altro ritardo nella definizione delle pratiche e, quindi, crescono ancora di più gli interessi da pagare.

In pratica la legge Pinto ha creato un meccanismo mostruoso, autoalimentante, che è diventato l'occupazione principale, se non addirittura l'unica, di stuoli di avvocati che "campano" proprio grazie ad essa e che mettono in atto tutti i "trucchi del mestiere" per cercare di far lievitare ad arte i risarcimenti.

A questo occorre aggiungere il peso degli altri costi, dal punto di vista della gestione di una procedura siffatta.
La legge Pinto, infatti, impegna risorse notevoli nella magistratura, nell'Avvocatura (pubblica e privata) e nella Pubblica Amministrazione, peraltro per concedere non un pieno risarcimento del danno, ma per riconoscere soltanto un indennizzo compatibile con la programmazione delle finanze dello Stato, vale a dire per svolgere un'attività che potrebbe anche non essere delegata necessariamente ad un giudice.

C'è già chi ha suggerito di affidare la decisione sul risarcimento di questo tipo di danno ad un mediatore, analogamente a quanto previsto recentemente in altre materie, così da liberare risorse almeno nella magistratura.

Forse, però, tutto il meccanismo potrebbe essere semplificato ancora di più, se ci fosse un nuovo intervento normativo che:
·        Stabilisca esplicitamente un termine ragionevole di durata dei processi, al limite anche in maniera articolata a seconda dei diversi gradi del giudizio;
·        Fissi un semplice meccanismo di calcolo matematico della somma da risarcire in caso di superamento del limite di durata del processo fissato per legge;
·        Attribuisca esclusivamente alla Pubblica Amministrazione il compito di calcolare e liquidare il danno, ormai facilmente quantificabile con una procedura meramente amministrativa.

In questo modo si libererebbero risorse in molti ambiti, consentendo alla magistratura di occuparsi di problemi più consoni alla sua funzione istituzionale, quale, ad esempio, definire con maggiore rapidità proprio quei processi la cui eccessiva durata provoca l'esigenza di un risarcimento.

La maggiore semplicità e rapidità del procedimento, inoltre, renderebbe meno onerose le somme da liquidare consentendo, grazie a questo risparmio, il soddisfacimento di un maggior numero di richiedenti e rendendo più facilmente raggiungibile l'obiettivo di soddisfare tutte le richieste con i fondi normalmente a disposizione.

Questo è soltanto un esempio di come si può davvero ridurre la spesa pubblica tagliando gli sprechi, anziché i servizi pubblici essenziali, senza contare lo stimolo fornito per un migliore servizio al cittadino.

Ci rendiamo conto, però, che la legge Pinto ha fornito un modo comodo e redditizio per sbarcare il lunario a certe consorterie, che sicuramente si opporrebbero con forza (e ne avrebbero, di forza ...) a qualsiasi cambiamento che comporti, in questo settore, una gestione più razionale con tagli di spesa.
Purtroppo sarà difficile contrastare la resistenza di chi ha interesse a non cambiare le cose, suscitare nell'opinione pubblica un atteggiamento sfavorevole all'attuale formulazione della legge Pinto, anzi, crediamo che difficilmente l'opinione pubblica se ne occuperà. Può risultare complicato,infatti, spiegare ai non addetti ai lavori il funzionamento di certi meccanismi perversi, rendere immediatamente percepibile a chi non ne abbia esperienza diretta che, così come è costruita la legge attuale, il pagamento di una cifra "x" di risarcimento costa allo Stato parecche volte di più, in risorse umane e strumentali.

La nostra vuole essere, al tempo stesso, una denuncia ed una proposta.
Siamo convinti, infatti, che la circolazione delle informazioni è alla base di una democrazia, e speriamo ancora che esistano persone di buona volontà, anche tra coloro che hanno in mano il potere di decidere delle sorti della nostra Nazione, persone che cercano rimedi seri a problemi veri e di cui, forse, potremmo riuscire ad attirare l'attenzione.

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